Villamarino, Isabella

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Isabella Villamarino de Cardona (Napoli, 1503 - Valladolid, 1559) è stata principessa di Salerno e sospettata d'eresia.

Figlia di Bernardo Villamarino, conte di Capaccio e Grande Ammiraglio del Regno di Napoli, dal quale ereditò, nel 1512, il feudo di Capaccio e Altavilla.
Con il consenso del re Ferdinando II sposò nel 1516 Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, che all'epoca aveva soltanto dieci anni. I giovanissimi sposi ebbero come precettore Pomponio Gaurico, noto umanista napoletano, che per dodici anni insegnò loro i classici greci e latini. L'influenza di costui segnò profondamente i gusti estetici dei due nobili che fecero della propria corte un luogo d'arte e mecenatismo. Bernardo Tasso dedicò alla principessa la prima sezione del secondo libro dei suoi Amori, Laura Terracina un sonetto.
Appartenne probabilmente al circolo di Juan de Valdés e protesse Scipione Capece, dandogli rifugio nel 1543, allorché questi dovette fuggire da Napoli dopo esser stato destituito dal suo incarico di membro del Sacro Regio Consiglio perché accusato di eresia. Data la sua appartenenza all'Accademia pontaniana, considerata fucina di dissidenti, fu vittima dell’ostilità verso le Accademie da parte del viceré Pedro di Toledo nei confronti delle Accademie.
Il suo nome è citato nel processo contro Mario Galeota del 1566.

Bibliografia

  • Laura Cosentini, Una dama napoletana del XVI secolo: Isabella Villamarina, principessa di Salerno, V. Vechi editore, Trani 1896.
  • Benedetto Croce, Isabella Villamarino, in Aneddoti di varia letteratura, Laterza, Bari 1953
  • Claudio Donadelli, Villamarino, Isabella, in DSI, vol. 3, pp. 1691-1692.
  • Maria Teresa Guerra Medici, Isabella Villamarino, principessa di Salerno, in Enciclopedia delle donne.

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Article written by Sonia Isidori | Ereticopedia.org © 2014

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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