Breseño, Isabella

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Isabella Breseño o Breseña, cognome italianizzato in Bresegna o Brisegna (Spagna o Napoli, ca. 1510 - Chiavenna, 18 febbraio 1577), è stata una nobildonna napoletana di origine spagnola, che aderì ai circoli di Juan de Valdés e di Juan de Villafranca e, perseguitata dall'Inquisizione, fuggì dall'Italia, stabilendosi in Svizzera.

Biografia

Appartenente a una famiglia della nobiltà castigliana trasferitasi a Napoli, moglie di Garcia Manrique de Mendoza (il matrimonio avvenne nel 1529), fu una carissima amica di Giulia Gonzaga ed aderì con lei al circolo di Juan de Valdés. Fu molto legata anche a Juan de Villafranca, che morì nella sua casa napoletana nel 1545, dopo che la Breseño lo aveva accolto ormai gravemente malato.
Dal 1548 al 1555 risiedette a Piacenza, dove il marito (che condivideva con lei l'appartenenza valdesiana) era governatore della città per conto di Carlo V. A Piacenza diede rifugio a Girolamo Busale, che nominò suo segretario, ma anche ad altri esponenti del valdesianismo radicale quali Giovanni Laureto, Lorenzo Tizzano, Giulio Basalù. In questo periodo ebbe relazioni anche con Pier Paolo Vergerio e Renata di Francia. Ormai palesemente accusata di eresia, se la cavò con un'abiura segreta grazie all'influenza del marito. Trasferitasi a Milano nel febbraio 1555, nel 1557 fuggì all'estero, prima a Vienna poi a Tubinga presso il Vergerio, stabilendosi quindi nel 1558 a Zurigo presso il Vermigli, e infine nel 1559 a Chiavenna, dove visse fino alla morte.

Bibliografia

  • Processo Morone2, vol. I, pp. 20-22.
  • Luca Addante, Eretici e libertini nel Cinquecento italiano, Laterza, Roma-Bari 2010.
  • Piero Castignoli, Eresia e inquisizione a Piacenza nel Cinquecento, TIP.LE.CO, Piacenza 2008.
  • Claudio Mutini, Bresegna, Isabella, in DBI, vol. 14 (1972).

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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