Gadaldino, Antonio

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Antonio Gadaldino (membro di una famiglia originaria di Villa d’Ogna, in Val Seriana, ca. 1482 - Modena, 6 aprile 1568) è stato un libraio ed editore perseguitato dall’Inquisizione romana.

Nell’ambito del processo contro il cardinale Giovanni Morone, Antonio Gadaldino dichiarava, durante l’interrogatorio romano del 7 febbraio 1558, di avere all’incirca 76 anni, cosicché la sua data di nascita dovrebbe collocarsi intorno al 1482, tuttavia le notizie, a proposito del libraio bergamasco, non si fermano qua poiché il nome di Antonio Gadaldino compare nell’opera Antiqua et recentia illustrium virorum Mutinensium monumenta di Francesco Forciroli (scritto composto presumibilmente tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo) allorché, narrando la nascita del celebre medico Agostino Gadaldini in data 15 marzo 1515, si ricorda che il padre di quest’ultimo era un famoso libraio di nome Antonio; le prove, che testimoniano la presenza del Bergamasco a Modena, proseguono con le numerose scritture notarili che dimostrano come Antonio Gadaldino fosse un membro attivo della comunità geminiana della prima metà del XVI secolo: il 28 giugno 1522 quest’ultimo acquistava, con il bolognese Battista Bonfioli, un fabbricato posto nella cinquantina del Castellaro per la somma di 1400 lire modenesi, mentre il 6 ottobre dello stesso anno, insieme alla moglie Lucrezia del fu Bartolomeo da Varese, vendeva una casa situata nella cinquantina dell’Asino.
La famiglia di Antonio Gadaldino doveva godere di un buon tenore di vita in quanto il 2 giugno 1525 essa era in grado di acquisire la parte dell’edificio toccata al Bonfioli nell’acquisto di tre anni prima, e fu proprio in quello stabile, ubicato nella zona del Castellaro, che fu attiva la bottega divenuta un luogo simbolo del dissenso religioso della città emiliana nei decenni centrali del Cinquecento: i suoi locali, infatti, erano un punto di ritrovo di diversi eterodossi cittadini come Giacomo Graziani, Girolamo Teggia, Giovanni Bertari, Bartolomeo Fonzio, oltre che di predicatori sospetti ed inoltre ivi il cronista Tommasino Lancellotti comprò, il 3 ottobre 1537, una copia del Sommario della Sacra Scrittura: l’acquisto di quest’ultimo testo, considerato unanimemente come una delle opere più rappresentative del Cinquecento ereticale, fu un disguido, infatti, il Lancellotti era convinto di aver comprato uno scritto conforme ai dettami della Chiesa cattolica ed appena si rese conto di avere tra le mani un testo di argomento tutt’altro che ortodosso protestò con Antonio Gadaldino, esigendo la restituzione di quanto pagato e pretendendo che il libro fosse portato nella sede modenese dell’Inquisizione, per essere bruciato; il dissidio tra il cronista modenese ed il libraio bergamasco, unito al ritrovamento di un'altra copia del Sommario della Sacra Scrittura nella casa dei conti Rangoni, portò alla predica dell’11 dicembre 1537, pronunciata dal pulpito del duomo, nella quale il predicatore Serafino da Fermo denunciava pubblicamente la presenza di una setta eterodossa, la cosiddetta Accademia, all’ombra della Ghirlandina, togliendo così ogni incertezza riguardo alla situazione di profondo dissenso religioso presente tra le mura della città estense.
Nella rivendita di Antonio Gadaldino non passò solamente il Sommario della Sacra Scrittura, ma molte altre opere riformate e di questo commercio sono testimoni il proprietario del negozio in zona Castellaro ed anche Giovanni Morone, vescovo della città emiliana: in numerosi passaggi del processo ai danni di quest’ultimo, il Bergamasco ricorda come tra i libri, i quali provenivano principalmente da Venezia, figurasse il celebre Beneficio di Cristo, ed egli non temesse ritorsioni da parte dell’Inquisizione, poiché il prelato milanese aveva dato la sua approvazione alla distribuzione di tale testo in città, giacché lo considerava fedele ai dettami della Chiesa romana.
Il commercio di opere dal contenuto ereticale non fu l’unico elemento che rese Antonio Gadaldino una figura sospetta agli occhi dell’Inquisizione cittadina, infatti, il Bergamasco decise di incrementare i propri affari cimentandosi, oltre che nella vendita, anche nella pubblicazione di testi: il primo di essi è datato 1544 ed è intitolato la Stadera del formento, ma ben presto nelle edizioni di Antonio Gadaldino comparvero anche opere ben più compromettenti, vista la loro dubbia ortodossia religiosa, come quelle di Ludovico Castelvetro e di Giovanni Maria Tagliati, detto il Maranello; non stupisce perciò che egli venga citato in numerosissime testimonianze processuali, raccolte dal Sant’Uffizio modenese, come un individuo caratterizzato da convincimenti e comportamenti eterodossi, i quali lo portarono ad una convocazione ufficiale, davanti al Sant’Uffizio di Roma, nell’ottobre del 1555.
Nel maggio 1555 era salito al soglio pontificio l’intransigente cardinale Gian Pietro Carafa con il nome di Paolo IV, il quale diede un giro di vite alle comunità ereticali sparse per la Penisola, cosicché anche all’ombra della Ghirlandina il rigore del nuovo papa si rese concreto attraverso il breve del 1° ottobre 1555, inviato ad Ercole II d’Este, duca di Ferrara, con il quale si sollecitava quest’ultimo a far espatriare verso i territori pontifici quattro tra i più importanti nomi del dissenso ereticale modenese, ossia Antonio Gadaldino, Ludovico Castelvetro, Bonifacio e Filippo Valentini; la chiamata nell’Urbe degli eretici emiliani scatenò un braccio di ferro giurisdizionale tra Modena, Ferrara e Roma: le magistrature cittadine della città geminiana considerarono la richiesta pontificia un grave atto di prevaricazione che esautorava le autonomie locali, cosicché si rifiutarono di consegnare gli eretici ed inviarono presso la corte estense Elia Carandini, uno dei più illustri patrizi modenesi, alfine di ottenere per i quattro dissidenti religiosi la protezione del duca Ercole II.
La fermezza di Paolo IV in questa vicenda, la quale era dettata anche dalla volontà di quest’ultimo di colpire il cardinale Giovanni Morone e di conseguenza personaggi a lui vicini come i quattro eretici modenesi, costrinse il capo di casa d’Este a cedere alle pressioni papali, cosicché il 6 luglio 1556 venne arrestato Antonio Gadaldino, il più debole del gruppo degli imputati, mentre gli altri tre convocati si erano resi irreperibili grazie alle protezioni che derivavano dalla loro appartenenza ad alcune delle famiglie più insigni della città; la detenzione del libraio raccolse un coro di proteste dove erano presenti le voci più disparate, le quali andavano dal duca Ercole II, agli amici e famigliari disperati, passando per Ercole Contrari, governatore estense di Modena: le suppliche si rivelarono inutili giacché il Sant’Uffizio romano procedeva affiggendo nei luoghi più importanti dell’Urbe, in data 7 ottobre 1556, la citazione ufficiale della convocazione degli eterodossi emiliani ed inoltre, nella primavera del 1557, il Gadaldino venne trasferito nella pontificia Bologna e successivamente nel carcere romano di Ripetta.
Il Bergamasco fu costretto a testimoniare, come si è ricordato in precedenza, nell’ambito del processo contro il cardinale Giovanni Morone, ed infine subì il procedimento giudiziario nei suoi confronti che si concluse con l’abiura pubblica del 14 ottobre 1559, dove gli venivano contestate lo sviamento dalla Chiesa cattolica ed il possesso e la lettura di libri proibiti, oltre a ciò gli fu imposta la permanenza obbligatoria nella città di Modena, pene spirituali ed una nuova abiura nella città estense, la quale si tenne il 21 febbraio 1560; dopo il ripudio delle proprie idee in materia di fede Antonio Gadaldino godette di una lunga vecchiaia la quale s’interruppe il 6 aprile 1568, così com’è riportato dai registri pubblici modenesi.

Fonti archivistiche

  • Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, S. O., Decreta S. O., Index Primi Vol. Decretorum S. O. ab anno 1548 ad annum 1558, c. 71r.
  • Archivio di Stato di Modena, Enti ecclesiastici, Tribunale dell’Inquisizione di Modena, Processi, b. 3, f. 23.

Edizioni di fonti

  • Processo Morone2, vol. I-III, ad indicem (cfr. in particolare vol. 1, pp. 500-502).
  • Tommasino Lancillotti, Cronaca modenese di Tommasino de’Bianchi detto de’ Lancellotti, Pietro Fiaccadori, Parma 1862-1884, vol. V: pp. 389-393, 455; vol: VIII, p. LXIV; vol. XII: p. 65.
  • Francesco Forciroli, Sonia Cavicchioli (a cura di), Giorgia Mancini (trascrizione di), Vite dei modenesi illustri, Aedes Muratoriana, Modena 2007, p. 145.

Bibliografia

  • Matteo Al Kalak, L’eresia dei fratelli. Una comunità eterodossa nella Modena del Cinquecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2011, ad indicem.
  • Lucia Felici, Introduzione, in Filippo Valentini, Lucia Felici (a cura di), Il principe fanciullo. Trattato inedito dedicato a Renata ed Ercole II d’Este, Olschki, Firenze 2000, pp. 24, 76, 97, 99, 100, 102, 105, 117.
  • Ernesto Milano, La stampa a Modena nel ‘500, in Marco Santoro (a cura di), La stampa in Italia nel Cinquecento. Atti del Convegno, Roma 17-21 ottobre 1989, Bulzoni, Roma 1992, vol. I, pp. 500-511.
  • Girolamo Tiraboschi, Biblioteca modenese o Notizie della vita e delle opere degli scrittori natii degli stati del serenissimo signor duca di Modena raccolte e ordinate dal cavaliere ab. Girolamo Tiraboschi, Società Tipografica, Modena 1781-1786, t. I: 8, 18, 449-451; t. II: 371-375; t. VI: 58-59.
  • Emilio Paolo Vicini, La stampa nella provincia di Modena, Società Anonima Tipografia Sociale, Milano 1931, pp. 18-29.

Article written by Samuele Reggiani | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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