Borri, Francesco Giuseppe

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Francesco Giuseppe Borri (Milano, 4 maggio 1627 - Roma, 1695) è stato un guaritore empirico, alchimista e simulatore di santità.

Membro di una famiglia della nobiltà milanese, figlio di Branda Borri, illustre medico, nel 1641 approdò a Roma per studiare presso il Seminario Romano dei gesuiti ma ne venne espulso nel 1649 per indisciplina. Entro quindi al servizio del marchese Mirogli, rappresentante diplomatico dell'arciduca Ferdinando Carlo d'Asburgo, conte di Tirolo, a Roma, iniziando a interessarsi di medicina e alchimia. Nel 1654 fu colto da una sorta di crisi mistica in seguito alla quale cominciò a raccogliere seguaci.
Nel 1656 lasciò Roma per rientrare a Milano, entrando in contatto con i pelagini. Fuggì alla persecuzione inquisitoriale riparando a Innsbruck. Il 2 gennaio 1661 fu condannato al rogo in contumacia a Roma. Nel frattempo aveva iniziato a viaggiare per l'Europa, inseguito dal Sant'Uffizio: le sue peregrinazioni finirono nel 1669 allorché fu arrestato da una pattuglia imperiale nei Carpazi. Fu trasferito a Vienna e quindi estradato a Roma. Godendo di protezioni nella nobiltà e nella curia romana e pentendosi, riuscì a scampare la condanna a morte. Fu comunque condannato, con sentenza del 25 settembre 1672, al carcere a vita da scontarsi a Castel Sant'Angelo. Qui morì nel 1695.

Bibliografia

  • Giorgio Cosmacini, Il medico ciarlatano. Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza, Roma-Bari 1998.
  • Lisa Roscioni, La carriera di un alchimista ed eretico del Seicento: Francesco Giuseppe Borri tra mito e nuove fonti, in «Dimensioni e Problemi della Ricerca Storica», 22, 2010, pp. 149-186.
  • Lisa Roscioni, Borri, Francesco Giuseppe, in DSI, vol. 1, pp. 216-217.
  • Salvatore Rotta, Borri, Francesco Giuseppe, in DBI, vol. 13 (1971).
  • Gianvittorio Signorotto, L’eresia di Santa Pelagia. Inquisitori e mistici nel Seicento italiano, Il Mulino, Bologna 1989.

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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