Petruccelli Della Gattina, Ferdinando

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Ferdinando Petruccelli Della Gattina (Moliterno, 28 agosto 1815 – 29 marzo 1890) è stato un giornalista, scrittore, patriota e uomo politico.

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Biografia

Nacque a Moliterno, in Basilicata, da Luigi Petruccelli, medico, e da Maria Antonia Piccininni, nobildonna di Marsicovetere. I Petruccelli erano noti sostanzialmente per due cose: la vocazione medica – che aveva portato il nome di famiglia fino alla corte di Napoli; lo zio Francesco era stato, infatti, medico di Gioacchino Murat – e per l’attività cospirativa, che li aveva visti tra i fondatori di una delle prime logge massoniche della provincia, l’Aurora Lucana, poi convinti militanti carbonari.
Gli anni della formazione furono segnati da alcune esperienze traumatiche. La sua istruzione cominciò assai prematuramente, all’età di quattro anni, quando fu inviato a Marsicovetere dall’avola materna, la baronessa Piccininni. Pochi anni dopo, raggiunse il fratello maggiore Melchiorre che già si trovava, da qualche anno, nella scuola privata di monsignor Chiccelli, a Castel Saraceno. Gli scarsi risultati e il sensibilissimo deperimento del fanciullo costrinsero il padre a riportarlo a Moliterno e ad improvvisarsi pedagogo del figlio.
A dodici anni si fece più urgente la necessità di indirizzarlo a studi più seri e regolari; così su consiglio anche del potente zio di Napoli, i Petruccelli decisero di iscriverlo al seminario di Pozzuoli, tenuto dal famoso monsignor Rossini, allievo morale del cardinale Ruffo, nell’intento di indirizzarlo alla carriera ecclesiastica. Fu un’esperienza sicuramente molto meno traumatica delle due precedenti: se avrebbe, infatti, etichettato il Rossini come «feroce, violento e manesco» un buon ricordo avrebbe conservato del rettore del seminario e del maestro Don Noè che presero in affezione il fanciullo.
Gli anni dell’adolescenza ne avrebbero convertito, tuttavia, totalmente lo spirito, rendendolo più coraggioso e ribelle ma allo stesso tempo deciso, tenace e coerente con le sue idee. Nonostante, infatti, il vescovo Rossini si avvalesse di metodi e strategie capaci di intimare un severissimo rispetto delle regole, le letture che più preferiva erano proprio quelle ritenute proibite, scomunicate, ma che riusciva a procurarsi grazie alla complicità con il prefetto della sua camerata. Una vicenda però lo vide oggetto di severo castigo: in occasione della festa di san Luigi, era usanza che tutti i seminaristi scrivessero una lettera di preghiera al santo da depositare all’altare, ignari, ovviamente, che sarebbe stato proprio il vescovo Rossini il primo ad intercettarle. Ferdinando non si trattenne dal confessare il grande senso di avversione contro il vescovo stesso. In attesa dell’espulsione fu rinchiuso in una cameretta-prigione fino a quando, ancora una volta, lo zio Francesco fu costretto ad intercedere per mandarlo a Napoli, affidandolo alle cure del prefetto del collegio dei gesuiti, padre Latini.
Il soggiorno a Napoli rappresentò una svolta davvero importante: i metodi tanto criticati dell’istruzione gesuitica, dopo tre o quattro mesi, cominciarono a portare buoni frutti, soprattutto nella dimestichezza con il latino e con il greco; ma fu un’altra favorevole circostanza a contribuire alla sua vera «resurrezione» intellettuale: lo zio Francesco lo aveva collocato in pensione in casa di tre preti della vicina Spinoso, in Basilicata, cugino, uno di essi, della madre di Ferdinando. Nel 1836 conseguì il diploma dottorale in medicina e chirurgia, presso l’Università di Napoli, ma il forte richiamo dei movimenti che facevano capo a Mazzini gli indicarono, con chiarezza, che avrebbe potuto rendere onore soltanto ad una delle due eredità di famiglia; abbandonò infatti la professione per dedicarsi alla politica, alla letteratura e al giornalismo.
Il debutto di Petruccelli sull’«Omnibus Pittoresco» di Vincenzo Torrelli, fu imperniato proprio su quelle tematiche, attraverso una prosa che additava una dura critica verso «certi sistemi pedagogici coercitivi e castratorii».
Il 1840 fu un anno condizionato da due eventi emblematicamente collegati tra loro: la morte dello zio Francesco e la sua partenza per un tour in Europa, finanziato proprio da una parte dell’eredità ricevuta.
Al suo ritorno, gli articoli che il «Salvator Rosa» e il «Raccoglitore fiorentino» gli avevano concesso di pubblicare, sul suo viaggio in Europa – durato ben due anni – gli avevano garantito una fama tale da agevolare la pubblicazione del suo primo romanzo, Malina di Taranto, nel 1843. Edito a Napoli, in tre volumi, rievocava la vita della corte angioina al tempo della prima Giovanna, bella, generosa ed infelice, accompagnata appunto da Malina una giovane – invece – ingenua, incapace di odiare. L’intreccio narrativo, tutt’altro che eccezionale, gli procurò abbastanza visibilità da coinvolgerlo in nuove importanti sperimentazioni letterarie; nel 1847, infatti, pubblicò, per la Napoli in miniatura ovvero il popolo di Napoli ed i suoi costumi di Mariano Lombardi, un racconto intitolato Antonio. Si trattava di un’antologia che, attraverso una serie di racconti, illustrava la quotidianità della vita napoletana.
Ma il 1847 fu anche l’anno in cui pubblicò l’Ildebrando che, a pieno titolo, sarebbe stata considerata una pietra miliare della sua militanza letteraria e politica. Il romanzo suscitò l’entusiasmo da parte dei liberali, ma fu messo all’indice dalla Curia Romana. D’altro canto, Petruccelli era già entrato nel mirino della sorveglianza borbonica, un anno prima, come «pericoloso tra gli iscritti alla Giovine Italia», incarcerato prima e liberato dopo, per rientrare a Moliterno dove visse, per oltre un anno, sotto la sorveglianza del gendarme. Con l’Ildebrando Petruccelli semplicemente «subiva in modo passivo il mito del nuovo Papa». Il voltafaccia di Pio IX lo turbò profondamente e lo avrebbe portato ad un punto di non ritorno: ripubblicando l’Ildebrando con un nuovo titolo – il Re dei Re – e apportando quelle adeguate modifiche che cancellassero ogni traccia di apertura, nei confronti del mondo ecclesiastico, avrebbe ripreso e alimentato quella posizione rigidamente anticlericale che si sarebbe meglio espressa in opere successive (Storia arcana del pontificato di Leone XII, Gregorio XIV e Pio IX, ossia preliminari della Questione Romana, nel 1861, Historie diplomatique des conclaves, nel 1864, Pie IX. Sa vie son règne: l’homme, le prince, le pape nel 1866 e, soprattutto, le Memorie di Giuda, nel 1870).
Il 1848 segnò la vita di Petruccelli in maniera incontrovertibile. All’indomani di quel 12 gennaio il cui fermento insurrezionale costrinse Ferdinando II a concedere la Costituzione, Petruccelli si precipitò a fondare un giornale. Il primo numero di «Mondo Vecchio e Mondo Nuovo» sarebbe uscito il 27 febbraio, raccogliendo lettori e sostenitori tra le fila più progressiste e radicali del Regno. Il clima della rigorosa censura borbonica influì pesantemente sul suo sistema di organizzazione, dalla stampa alla firma stessa degli articoli; la sigla «I Tredici» fornì, infatti, una valida e comoda copertura a tutti gli associati; ma Petruccelli seppe distinguersi anche in questo: cominciò, ad un certo punto, a firmare i suoi articoli, rompendo, così, anche simbolicamente, con quei modi «carbonari» che riteneva ormai obsoleti.
Eletto nel collegio di Melfi e proiettato nella concreta possibilità di incidere con una politica più attiva sulle necessità del Regno, non esitò a prendere le armi quando, il chiaro voltafaccia del sovrano, rivelato dal colpo di scena del 13 maggio, richiese di rielaborare un nuovo piano strategico. Il passaggio dalla penna alle armi e dalle armi all’esilio fu mediato dal disperato tentativo di organizzare un comitato di pubblica sicurezza con poteri pieni e assoluti composto dal marchese Ottavio Tupputi, Gaetano Giardini, Vincenzo Lanza, Gennaro Bellelli e da lui stesso. Fu tra quanti sostenevano che la lotta politica dovesse continuare e innescarsi con caratteri di irreversibilità attraverso l’insurrezione dalle province. In effetti, si ha notizia che Petruccelli attraversasse la sua Val d’Agri, diretto in Calabria, per intraprendere rapporti con alcuni esponenti del Circolo Costituzionale Lucano. Gli insorti dell’Abruzzo e della Calabria, appoggiati da quelli del Cilento e del Vallo di Diano della Basilicata e dell’Irpinia, avrebbero dovuto riaccendere il focolare rivoluzionario e spingersi nella capitale per convocare un’Assemblea Costituente; ma il 6 luglio fu arrestato a Scalea, dopo aver ricevuto il compito di promuovere l’insurrezione in Basilicata. Riuscì a fuggire prima che, dopo essere stato liberato, la Corte Speciale di Calabria lo condannasse a morte, il 4 febbraio 1853.
La Rivoluzione di Napoli nel 1848, pubblicato nel 1850, non risparmiò invettive contro il tiranno borbonico al quale prometteva, nonostante il fallimento della rivoluzione, una resa dei conti che non sarebbe tardata ad arrivare.
Nel settembre nel settembre 1849, si imbarcò, dunque, per Parigi. Difficile immaginare con quale stato d’animo di delusione affrontasse quel viaggio. Con quell’esperienza, infatti, avrebbe deciso – almeno in maniera simbolica – di chiudere per sempre: quel “Ferdinando Petruccelli” sarebbe diventato famoso in tutta Europa come “Petruccelli della Gattina” (quel “della Gattina” proveniva dal nome di un piccolo feudo sul quale la sua famiglia vantava un titolo nobiliare ma che proprio in quei mesi i borbonici confiscarono), spesso anche “francesizzato” in Pierre Oiseau de la Petitte Chatte.
Dall’esperienza dell’esilio, sarebbe venuto fuori il romando Le notti degli immigrati di Londra, pubblicato nel 1872.
Un impegno politico, costante, un imperativo – quello di continuare a sfidare i tempi e le circostanze politiche – che avrebbe alimentato anche attraverso il dialogo con alcune delle più eminenti personalità del tempo: Mazzini – con il quale si trasferì a Londra, ma per un breve arco di tempo - Jules Simon, Daniele Manin, Proudhon. Tra l’1 e il 2 dicembre 1851 fu, infatti, partecipe del colpo di Stato di Luigi Napoleone tra le fila dei repubblicani. La sua posizione gli costò addirittura una temporanea espulsione dalla Francia ma anche un’impagabile esperienza che sarebbe diventata un libro, pubblicato postumo, venti anni dopo, a Londra: Il Conte di Saint-Christ. Memorie del colpo di Stato del 1851 a Parigi.
A Londra ebbe modo di dilettarsi sulle dottrine sociali del tempo con Luis Blanc, Lajos Kossuth, l’esule francese Ledru-Rollin, Dickens, per il quale scrisse come giornalista del «Daily News».
Il 1859 segnò la marcia di riavvicinamento al suolo italiano: agli inizi della seconda guerra d’indipendenza fu corrispondente sul fronte per il «Journal des Débats», sia sui campi di battaglia di Solferino e Magenta, sia su quelli dell’impresa garibaldina.
La caduta del regime borbonico veniva a togliere ogni impedimento al suo definitivo ritorno in Patria: nel 1861 fu eletto nel nuovo Parlamento unitario, per la Basilicata, nel collegio di Brienza. Alla Camera sedette a sinistra, anzi all’estrema sinistra; in realtà fu un indipendente, né la topografia della Camera riuscì mai a imporre vincoli al suo carattere. Non ebbe successo nelle elezioni del 1865 nelle quali prevalse – sempre per il collegio di Brienza – il moliternese Francesco Lovito, ma tornò alla Camera nella tornata elettorale del 15 novembre 1874 – presentandosi per il collegio salernitano di Teggiano – e in quelle del novembre 1876 e maggio 1880.
Da parlamentare, però, non si slegò mai dalla sua veste di attento osservatore dei tempi e così, dall’interno delle mura del Palazzo Carignano, apriva agli occhi dell’Europa – attraverso la corrispondenza con il giornale parigino «La Presse» - sui rappresentanti del nuovo parlamento italiano. I Moribondi del Palazzo Carignano, prodotto della raccolta degli articoli pubblicati sul giornale parigino, sarebbe stato stampato nel 1862, dall’editore Fortunato Perelli di Milano, con un successo straordinario: le edizioni si moltiplicarono in breve tempo. Ma si susseguirono anni intensi di intensa scrittura: all’Introduzione alla storia diplomatica dei conclavi, del 1863, sarebbero seguite diverse opere storico-critiche. Tra il 1866 e il 1870-71 fu di nuovo corrispondente del «Journal des Débats», prima per la terza guerra di Indipendenza, poi per la guerra franco-prussiana. Non abbandonò, comunque, il romanzo: dopo il successo delle Memorie di Giuda (1870), seguì la pubblicazione de Il sorbetto della Regina, La notte degli emigrati a Londra, I suicidi di Parigi, Giorgione, Imperia, Le memorie di un ex deputato.
Il ritorno in Parlamento segnò un appassionato avvicinamento alla storia: la Storia dell’Idea Italiana dall’anno 665 di Roma era moderna, la Storia d’Italia dal 1866 al 1880. Demolizione, rabberci, disinganni e i Fattori e malfattori della politica europea contemporanea offrirono un clamoroso contributo alla sintesi di quell’epoca politica. Sarebbe morto, infine, il 29 marzo 1890 a Parigi consumato da una malattia che lo aveva reso infermo, ma che non aveva mai rallentato il suo ingegno, anche quando la paralisi di un braccio gli avrebbe impedito di scrivere da solo.

Bibliografia

  • Antonio Di Chicco, Petruccelli della Gattina, patriota e scrittore precursore del del giornalismo moderno, Laterza, Roma-Bari 1999.
  • Emilio Giordano, Ferdinando Petruccelli della Gattina, Edisud, Salern 1987.
  • Ferdinando Santoro, I grandi pensatori lucani: Ferdinando Petruccelli della Gattina, in «La Basilicata nel mondo», 1 luglio 1924, n° 1.
  • Federigo Verdinois, Profili letterari e ricordi giornalistici, edizione critica a cura di Elena Craveri Croce, Le Monnier, Firenze 1949.
  • Vincenzo Valinoti Latorraca, F. Petruccelli della Gattina, Ricciardi, Napoli 1915.
  • Luisa Rendina, Antonio Cecere, Al crocevia dei popoli. «Mondo Vecchio e Mondo Nuovo» (1848), PhotoTravel Edizioni, Rionero in Vulture 2020.

Article written by Luisa Rendina | Ereticopedia.org © 2020

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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